Guida alla conciliazione dopo il licenziamento
In caso di licenziamento di un lavoratore si applica la nuova conciliazione che il Jobs Act (Decreto Legislativo n. 23/2015) ha previsto in caso di contenzioso sul lavoro, articolata in: facoltativa, preventiva (nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo) e a “tutele crescenti”. Vediamole nel dettaglio.
PARTE I°
Conciliazione facoltativa
Dal 24 novembre 2010 il tentativo di conciliazione dinanzi alla Commissione della Direzione Provinciale del Lavoro è tornato facoltativo, non più necessariamente propedeutico al ricorso al tribunale (Dlgls 183/2010). Così, in caso di controversia individuale, le parti possono rivolgersi o meno al giudice se la vertenza ha come oggetto:
- impugnazione del licenziamento;
- pretesa retributiva;
- costituzione del rapporto di lavoro;
- violazione del dovere di fedeltà;
- risarcimento danni;
- violazione del patto di non concorrenza;
- violazione di obblighi di sicurezza e igiene sul lavoro;
- illegittime modalità di attuazione del diritto di sciopero.
La conciliazione facoltativa prevede che il proponente (lavoratore o datore di lavoro) presenti domanda, presso la Segreteria delle Commissioni provinciali, indicando:
- generalità delle parti;
- luogo della conciliazione;
- luogo delle comunicazioni;
- esposizione dei fatti;
- ragioni che li sostengono.
I funzionari della DPL devono verificare i dati essenziali: se insufficienti vanno integrati, se omessi la procedura non va avanti. Se i dati sono corretti, entro 20 giorni dalla richiesta o dalla ricezione dell’istanza al convenuto, la controparte può depositare le proprie memorie con le contro-difese ed eventuali domande in via riconvenzionale. Nei successivi 10 giorni, i funzionari della DPL devono convocare le parti dinanzi alla commissione o sottocommissione di conciliazione e poi, entro 30 giorni dalla convocazione, deve svolgersi il tentativo di conciliazione.
Nel caso in cui venga espletato, se la conciliazione viene raggiunta anche parzialmente, viene redatto un verbale sottoscritto dalle parti e il giudice del lavoro, su istanza di parte, rende esecutivo il decreto. Se non si raggiunge l’accordo conciliativo, la commissione deve sottoporre alle parti una proposta conciliativa da inserire obbligatoriamente a verbale, con indicazione delle posizioni delle singole parti.
Conciliazione preventiva
La Riforma Fornero (Legge 92/2012) ha modificato l’articolo 7 della legge 604/1966: prima di procedere al licenziamento, il datore di lavoro che abbia i requisiti dimensionali (più di 15 dipendenti nella singola unità produttiva o nell’ambito comunale o più di 60 nell’ambito nazionale) deve esperire una procedura di conciliazione volta all’esame congiunto dei motivi posti a base del recesso e finalizzata al raggiungimento di un eventuale accordo tra le parti (condizione di procedibilità ai fini dell’intimazione del licenziamento: in caso di violazione della suddetta procedura, il licenziamento è illegittimo).
Il datore di lavoro invia alla DTL una comunicazione in cui dichiara l’intenzione di procedere al licenziamento, indicando motivi e misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore. La comunicazione viene trasmessa per conoscenza anche al lavoratore e in seguito la DTL convoca le parti entro 7 giorni dalla ricezione della richiesta. In caso di mancata convocazione entro 7 giorni, il datore di lavoro può procedere al licenziamento. Diversamente, l’incontro si svolge dinanzi alla Commissione di Conciliazione e la procedura deve concludersi entro 20 giorni dalla trasmissione della convocazione, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo.
- Se il tentativo di conciliazione ha esito negativo, viene redatto un verbale e il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore. Il Giudice, nell’ipotesi in cui dovesse ritenere illegittimo il licenziamento, procederà a determinate l’indennità risarcitoria.
- Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto, il lavoratore (in deroga alla disciplina ordinaria) avrà diritto alla nuovadisoccupazione Aspi (sostitutiva dell’indennità di disoccupazione).
Conciliazione a tutele crescenti
Introdotta dal Jobs Act, si applica ai contenziosi sorti esclusivamente per:
- lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;
- lavoratori trasformati da lavoro a termine a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;
- lavoratori qualificati da un rapporto di apprendistato dal 7 marzo 2015.
Qualora il datore abbia intimato il licenziamento nei confronti di un lavoratore assunto a tutele crescenti, può offrirgli entro 60 giorni, al fine di evitare di andare in giudizio, un importo pari a 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo deltrattamento di fine rapporto, per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità. L’importo non costituisce reddito imponibile ai fini fiscali, né è assoggettato a contribuzione previdenziale. Se il lavoratore accetta, il rapporto si estingue e si rinuncia ad eventuale impugnazione anche qualora il lavoratore l’abbia già proposto. Se il datore di lavoro utilizza questa offerta quale che sia l’esito, è tenuto ad effettuare una comunicazione obbligatoria tramite procedura “UNILAV – Conciliazione“ sul portale Cliclavoro, nella sezione “adempimenti”.
PARTE II°
Con l’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti nel Jobs Act cambiano le regole per il licenziamento individuale, sia discriminatorio sia per giustificato motivo o disciplinare. Al contempo viene modificata la conciliazione per sanare eventuali controversie tra lavoratore e datore di lavoro.
Reintegro
Nel licenziamento discriminatorio (ex art. 15 Legge 300/70), nullo o inefficace perché intimato solo in forma orale, il giudice ordina lareintegrazione nel posto di lavoro e condanna il datore al pagamento di una indennità non inferiore a 5 mensilità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per il periodo che va dal giorno del recesso fino a quello di effettivo reintegro. Per il medesimo periodo è previsto il versamento dei contributiprevidenziali e assistenziali. Il lavoratore, tuttavia, può chiedere in sostituzione della reintegrazione una indennità pari a 15 mensilità, risolvendo il rapporto.
Indennizzo
Nel contratto a tutele crescenti è esclusa la reintegrazione e previsto un indennizzo certo e crescente in funzione dell’anzianità di servizio. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legato a ragioni inerenti: attività produttiva, organizzazione del lavoro, suo regolare funzionamento. In tali casi (estinto il rapporto di lavoro) l’indennità è pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio. Tale importo non potrà comunque essere inferiore a 4 mensilità né superiore alle 24. Per le PMI l’indennità è dimezzata e non può essere superiore a 6 mensilità.
Risarcimento
In caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo il lavoratore ha solo diritto alrisarcimento del danno pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24. Anche in questo caso per le PMI gli importi sono dimezzati e il limite massimo è fissato in 6 mensilità. Se il lavoratore dimostra l’insussistenza del fatto materiale che gli è stato contestato, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione e al pagamento di in risarcimento commisurato all’ultima retribuzione, nonché al versamento dei contributi. Il lavoratore può comunque richiedere in sostituzione del reintegro un’indennità pari a 15 mensilità.
Conciliazione
Il DLgs 23/2015 ha introdotto un nuovo rito di conciliazione stragiudiziale (esperibile nelle sedi indicate dall’art. 2113 e dall’art. 82, comma 1 del DLgs 276/2003), applicabile alle eventuali controversie legate a licenziamenti illegittimi. Il datore di lavoro può offrire unimporto esente da IRPEF e contributi pari a una mensilità per ogni anno di servizio, comunque compreso tra 2 e 18 mensilità. Se il lavoratore accetta, si estingue in automatico il rapporto alla data del licenziamento, si rinuncia all’impugnazione anche se già avviata e si mantiene il diritto alla NASpI (precisato dal Ministero del Lavoro nella nota n. 13 del 24 aprile 2015).
Il legislatore ha introdotto una comunicazione integrativa di cessazione da effettuarsi entro 65 giorni dalla fine del rapporto di lavoro che indichi l’esito dell’offerta conciliativa, in mancanza della quale è prevista in capo al datore di lavoro una sanzione amministrativa tra 100 e 500 euro per lavoratore. Tramite il modello online UNILAV-conciliazione dovrà essere inserito l’esito dell’offerta e, se il procedimento è andato a buon fine, informazioni aggiuntive come la sede della conciliazione e l’importo erogato.
fonte pmi.it



