GPS: Autorizzazione no?

Le novità introdotte con l’art. 23 del D.L.vo n. 151/2015 che ha completamente cambiato il vecchio art. 4 della legge n. 300/1970 si concentrano, soprattutto, sui commi 2 e 3, in considerazione del fatto che la tecnologia e l’informatica hanno fatto passi da gigante e consentono di “controllare da remoto” l’attività dei lavoratori ben più delle telecamere installate in azienda: ciò, indubbiamente, crea questioni applicative non indifferenti affrontate nel comma 3 in quanto si tratta di contemperare l’esigenza del datore con la giusta tutela della privacy dei dipendenti.

La riflessione che intendo effettuare in questo breve scritto riguarda il dispositivo GPS installato sulle autovetture aziendali: va raggiunto un accordo con le organizzazioni sindacali interne o, in alternativa, va richiesta l’autorizzazione alla Direzione territoriale del Lavoro, oppure la strumentazione rientra tra le ipotesi “esentate” dal comma 2?

Quest’ultimo stabilisce che l’accordo collettivo o l’autorizzazione amministrativa non sono necessari per quegli strumenti che sono utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per quelli di registrazione delle presenze e degli accessi in azienda (si pensi ai “pass” installati sulle autovetture che consentono l’ingresso nelle autorimesse di pertinenza aziendale). Tutto questo significa che se un datore di lavoro fornisce per la prestazione computer, telefoni, tablet, smartphone, diverrebbe superfluo quanto affermato al comma 1, atteso che ci si troverebbe di fronte ad una deroga rispetto al principio generale.

Ma, è proprio così, oppure l’ipotesi rientra tra quelle soggette ad autorizzazione amministrativa o ad accordo sindacale?

È chiaro che tali strumenti consentono di “tracciare” i movimenti e gli spostamenti dei dipendenti e che, sovente, sono utilizzati anche per indirizzare, velocemente, il lavoratore verso il cliente: si pensi ad un sistema di software mediante il quale viene individuato il lavoratore, che è in giro a svolgere le proprie prestazioni e che, dopo la chiamata, viene inviato, in quanto risulta essere il più vicino.

Appare evidente la constatazione che tale strumento che consente la localizzazione del lavoratore, non abbisogna di alcuna autorizzazione perché funzionale alla prestazione lavorativa. Come non necessita di autorizzazione, perché obbligatoria per legge nel rispetto del Regolamento CE n. 165/2014, l’installazione del cronotachigrafo sui veicoli commerciali ed industriali.

Ora, tornando alla tracciabilità dei dati del GPS la questione che si pone è la seguente: sono strumenti strettamente necessari per eseguire il lavoro (e si è visto che in moli casi è così), oppure “ricadono” sotto la motivazione delle esigenze organizzative e della tutela del patrimonio aziendale (magari, con un uso “promiscuo”) e quindi, rientrano all’interno della previsione del comma 1, secondo la quale è necessario l’accordo sindacale o, in alternativa, il provvedimento autorizzatorio della Direzione territoriale del Lavoro?

Su questo punto merita di essere segnalato quanto affermato dalla Direzione Interregionale del Lavoro di Milano che coordina le Direzioni di Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, con la nota n. 5689 del 10 maggio 2016, indirizzata anche alle Direzioni Generali per l’Attività Ispettiva e della Tutela delle Condizioni di Lavoro e delle Relazioni Industriali del Ministero. Partendo dal concetto secondo il quale l’inciso “per rendere la prestazione lavorativa” porta a considerare strumento di lavoro il mezzo  che “serve al lavoratore per adempiere al suo obbligo dedotto in contratto, cioè per eseguire una prestazione lavorativa”, sulla scorta di un indirizzo consolidato della Cassazione e della dottrina, ritiene che “se un lavoratore del settore dell’autotrasporto guida il veicolo aziendale dotato di rilevatore GPS per esigenze assicurative e/o per esigenze produttive e/o di sicurezza ed il GPS traccia gli spostamenti del veicolo e, quindi, indirettamente segue gli spostamenti del lavoratore, si può ritenere che lo strumento accessorio impiantato sul veicolo rientri nella previsione del nuovo art. 4, comma 2, della legge n. 300/1970”, atteso che “l’automezzo ed il GPS servono entrambi, inscindibilmente ed unitariamente, al lavoratore per rendere la sua prestazione lavorativa e, quindi, sono uno strumento di  lavoro nella loro unicità”. Stesso discorso va fatto, ad esempio, per un addetto ad un call center con riferimento ai c.d. “controlli in cuffia” (con cuffie e microfoni assistiti da software che rilevano il grado di stress del lavoratore) o per lo smartphone aziendale assegnato a venditori e dotato di una normale “app” di mappe utili al lavoratore per i suoi spostamenti: si tratta di casi, conclude la Direzione Interregionale del Lavoro di Milano ove “deve ritenersi escluso l’obbligo di accordo sindacale preventivo o di alternativa istanza di autorizzazione alla DTL”.

Tale posizione mi sembra del tutto conforme alla norma voluta dal Legislatore delegato ed appare indirizzata da “un buon senso amministrativo”, soprattutto se si tiene conto che l’art. 23 che ha modificato l’art. 4 della legge n. 300/1970 si trova inserito nel provvedimento legislativo ove nel titolo appare la parola “semplificazione”.

Detto questo mi sento di aggiungere una ulteriore osservazione: “tutta la partita”, a prescindere da come viene effettuata la possibilità di mettere il GPS (accordo sindacale, autorizzazione della DTL o iniziativa autonoma del datore di lavoro) si gioca nella piena attuazione del comma 3 ove ila possibilità di utilizzare i dati tracciabili è rimessa alla precisa informazione ed alle modalità individuate dal datore che non debbono confliggere con la tutela, a suo tempo, individuata dal Garante con le “Linee guida  per l’utilizzo della posta elettronica e di internet”.

La posizione espressa dalla Direzione interregionale del Lavoro di Milano è stata fatta propria da diverse articolazioni periferiche del Ministero ed anche dalla DTL di Latina che, in sede di autotutela, cambiando un precedente orientamento, ha affermato che l’installazione del GPS non abbisogna di alcuna autorizzazione, rientrando nelle fattispecie previste dal comma 2.

 Il cambiamento appare evidente: oggi una serie di applicativi consentono la tracciabilità di tutto ciò che viene fatto sia nei momenti in cui la prestazione viene svolta, che durante le pause: basti pensare, a mero titolo di esempio, agli addetti ai servizi portavalori, agli addetti ai servizi di manutenzione e, in genere, a tutti i sistemi installati che sono destinati a prevenire rapine e furti.

Ma, il Ministero del Lavoro cosa pensa di questi problemi? Ha fornito indicazioni alle proprie strutture periferiche?

È passato quasi un anno dal 24 settembre 2015 e gli organi amministrativi del Dicastero sono ancora “silenti” sull’argomento (del resto, tale atteggiamento, se si escludono le indicazioni fornite, in maniera meritoria, sugli ammortizzatori sociali ed altre questioni relative alla attività di vigilanza ex D.L.vo n. 81/2015 ed ex D.L.vo n. 151/2015, appare una “costante”). Probabilmente, divenendo legge, entro settembre, il decreto correttivo dei decreti attuativi del job act, il Dicastero del Lavoro, qualora ne avesse voglia, rinuncerà a pronunciarsi atteso che la competenza sulla materia prevista dal nuovo art. 4 della legge n. 300/1970 passerà all’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Al momento, per la verità, senza essere accompagnato da una nota di spiegazione, sul sito ministeriale c’è un modello di richiesta di installazione di GPS, da indirizzare, per l’autorizzazione, alla Direzione del Lavoro competente per territorio.

È questa la posizione ufficiale del Ministero oppure, lo stesso non è altro che uno dei modelli che sono stati inseriti per i diversi provvedimenti autorizzatori, e che, rispetto, al passato, hanno subito, soltanto, una sorta di “restyling facciale” con il simbolo ministeriale rappresentato da una sigla MS “stilizzata” e con l’invito a presentare ogni istanza in via telematica?

Il dubbio sorge in quanto nel modello non appare alcun richiamo all’art. 23 del D.L.vo n. 151/2015 e si rafforza ancora di più guardando altri moduli che sono stati inseriti e che, al di là dell’attività di “restauro formale”, non sono stati affatto aggiornati (la rilevazione è avvenuta, visionando il sito ufficiale del Ministero oggi, 25 agosto 2016, giorno in cui ho scritto questa riflessione): mi riferisco, ad esempio, al modello con cui si chiede al datore di lavoro che, unitamente al lavoratore, presenta l’istanza di certificazione di un contratto ex art. 75 del D.L.vo n. 276/2003, di specificare, tra le altre cose, il numero dei dipendenti con contratto di formazione e lavoro (abrogato dall’ottobre del 2003) o con contratto di inserimento (cancellato dal 1° gennaio 2013) e di allegare due marche da bollo, oltre a quella sulla istanza, dal valore di 14,62 euro, che, però, risulta aumentato a 16 euro dal 26 giugno 2013 a 16  (ma, chi ha inserito il modello, non se ne è accorto).

Tornando all’argomento della riflessione occorre sottolineare come il momento di maggiore  innovazione rispetto al passato sia rappresentato dal fatto che le informazioni raccolte “sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” (quindi, non soltanto disciplinari): ma, per far ciò, occorre fornire una adeguata informazione ai lavoratori circa l’uso degli strumenti e delle apparecchiature e le concrete modalità di svolgimento dei controlli nel rispetto delle previsioni contenute nel D.L.vo n. 196/2003 attraverso il quale il Garante è intervenuto, più volte, avendo quale parametro di riferimento, soprattutto, l’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori.

Si tratta di un momento di focale importanza che riguarda il regolamento sull’utilizzo dei mezzi informatici. Le policy aziendali, presenti in moltissime realtà, vanno aggiornate alla luce delle nuove disposizioni avendo cura di verificare che:

  • siano idonee a fornire ai lavoratori, per i singoli strumenti in dotazione e per gli altri elementi di controllo che dovessero ricavarsi dalla strumentazione autorizzata ex comma 1, dai badge o dagli ingressi in azienda, le modalità, le regole d’uso e le forme di effettuazione delle verifiche che non debbono essere “massive” e debbono rispondere ai criteri di correttezza, pertinenza e non eccedenza tali da sfociare in comportamenti persecutori;
  • vengano sollecitamente corrette ed aggiornate nel momento in cui la strumentazione o la modalità d’uso cambi;
  • le comunicazioni ai singoli dipendenti vengano effettuate in modo tale da metterli in condizione di conoscere effettivamente i contenuti della stessa, non essendo, evidentemente, in alcun modo plausibile, una comunicazione generale affissa in bacheca o in altri posti visibili dai dipendenti.

 

A cura di : Eufranio Massi

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